LAMAGARA
Scritto da Emilio Suraci ed Emanuela Bianchi
Adattamento e interpretazione di Emanuela Bianchi
PREMIO DELLA CRITICA GAIAITALIA ROMAFRINGEFESTIVAL 2014
LAMAGARA
Scritto da Emilio Suraci ed Emanuela Bianchi
Adattamento e interpretazione di Emanuela Bianchi
PREMIO DELLA CRITICA GAIAITALIA ROMAFRINGEFESTIVAL 2014
Sinossi
Calabria, 1769.
Cecilia Faragò è l’ultima fattucchiera processata per stregoneria nel Regno di Napoli. Con lei muoiono i segreti della terra in un luogo del mondo in cui la terra è potere.
Chi è la magàra Cecilia?
Fata o strega, lucifera, portatrice del sole o della luna, donna infine e prima di tutto. Che si appropria della forza tellurica dal ventre del mondo e ne fa decotto di erbe, credenza, maleficio.
Lamagara è la donna che pensa, che guarda troppo avanti, che sospetta, che non crede a niente. La strega a cui il mondo chiede di nascondere le sue ipocrisie, per poi lapidarla per le sue stesse colpe.
Una microstoria che si affaccia dal passato, un urlo di redenzione da quel mondo di storie disperse che formano la memoria negata del genere femminile.
Profetessa dell’uguaglianza e donna irregolare di un Mediterraneo arcaico, viscerale, erotico, fatto di magismo, superstizione e divinazione, domina la natura aspra della terra, dei suoi frutti, dell’acqua, del fuoco.
Notti di luna e profumi arcani di un Sud dell’anima e del corpo raccontano quel fuoco di rabbia che seduce, verità di ogni tempo senza sovrastrutture.
Lamagara mette in scena i luoghi eterni della generazione e dell’eros, della diffusività maternale di vita, morte e reificazione in corpore feminae.
Non un semplice monologo, ma un’interazione di voci della storia, sommerse nell’oblio di un presunto peccato, che si elevano, con il personaggio di Cecilia, verso la luce, a smascherare il doppio volto della verità dell’uomo, le pieghe della sua quotidiana magia.
Un linguaggio denso e terrestre come humus, impastato di un materiale verbale pieno e screziato dove il corpo è utilizzato come strumento della narrazione che coinvolge lo spettatore in una esperienza sensoriale potente, poetica e parossistica. Lo sguardo di Emanuela Bianchi diventa parola, genesi, riscatto di una verità selvaggia, processata dalla storia.
Sinossi
Calabria, 1769.
Cecilia Faragò è l’ultima fattucchiera processata per stregoneria nel Regno di Napoli. Con lei muoiono i segreti della terra in un luogo del mondo in cui la terra è potere.
Chi è la magàra Cecilia?
Fata o strega, lucifera, portatrice del sole o della luna, donna infine e prima di tutto. Che si appropria della forza tellurica dal ventre del mondo e ne fa decotto di erbe, credenza, maleficio.
Lamagara è la donna che pensa, che guarda troppo avanti, che sospetta, che non crede a niente. La strega a cui il mondo chiede di nascondere le sue ipocrisie, per poi lapidarla per le sue stesse colpe.
Una microstoria che si affaccia dal passato, un urlo di redenzione da quel mondo di storie disperse che formano la memoria negata del genere femminile.
Profetessa dell’uguaglianza e donna irregolare di un Mediterraneo arcaico, viscerale, erotico, fatto di magismo, superstizione e divinazione, domina la natura aspra della terra, dei suoi frutti, dell’acqua, del fuoco.
Notti di luna e profumi arcani di un Sud dell’anima e del corpo raccontano quel fuoco di rabbia che seduce, verità di ogni tempo senza sovrastrutture.
Lamagara mette in scena i luoghi eterni della generazione e dell’eros, della diffusività maternale di vita, morte e reificazione in corpore feminae.
Non un semplice monologo, ma un’interazione di voci della storia, sommerse nell’oblio di un presunto peccato, che si elevano, con il personaggio di Cecilia, verso la luce, a smascherare il doppio volto della verità dell’uomo, le pieghe della sua quotidiana magia.
Un linguaggio denso e terrestre come humus, impastato di un materiale verbale pieno e screziato dove il corpo è utilizzato come strumento della narrazione che coinvolge lo spettatore in una esperienza sensoriale potente, poetica e parossistica. Lo sguardo di Emanuela Bianchi diventa parola, genesi, riscatto di una verità selvaggia, processata dalla storia.
RASSEGNA STAMPA
“Il premio della critica Gaiaitalia.com va a Lamagara per aver saputo restituire il lessico, il linguaggio del corpo, la mentalità, la sensibilità e le conoscenze di Cecilia Faragò, l’ultima donna processata per stregoneria in Calabria, nel 1769, magnificamente incarnata da Emanuela Bianchi.
La recitazione, il canto, la coreografia, il più piccolo dettaglio scenografico non sono mai dei meri espedienti teatrali ma costituiscono sempre il segno tangibile della esistenza altra, viva, vera e concreta di un personaggio che si muove sulla scena autonomamente, arrivando a costituire un risarcimento morale per tutte le donne che, come Cecilia, hanno saputo vivere libere, non importa quanto gli uomini abbiano cercato di zittirle.”
Ennio Trinelli
Vittorio Lussana – Periodico Italiano Magazine
“Emanuela Bianchi ci lascia a bocca aperta recitando un testo straordinario, calcando la scena con le sue danze perfette per equilibrio e dosaggio delle energie, ci suggestiona con la sua bravura e la sua bellezza, ci incanta con la sua voce e le sue canzoni, ci offre momenti di perfezione estetica e drammaturgica, una interpretazione misurata e controllata con intelligenza, ci regala finalmente quello che è stato – per chi scrive -lo spettacolo più bello visto al Roma Fringe Festival 2014 e per questo, chi scrive, ringrazia Emanuela Bianchi perché con il suo lavoro ci ha confermato che questo teatro che tanto amiamo e critichiamo regala ancora gioielli meravigliosi quando meno ce l’aspettiamo.”
Ennio Trinelli – gaiaitalia.com
Una metafora luminosa e vivente della possibilità di un modo di vivere di una donna che è ora sulla scena come è stata allora nella Calabria del 1700, non importa quanto gli uomini abbiano cercato di zittirla.”
Alessandro Paesano – teatro.it
Lamagara. Una Medea tinta di Giovanna D’Arco, ma con un’estetica degna della Bernarda Alba in assetto da trigesima.”
Giovan Bartolo Botta – giovanbartolate.wordpress.com
RASSEGNA STAMPA
“Il premio della critica Gaiaitalia.com va a Lamagara per aver saputo restituire il lessico, il linguaggio del corpo, la mentalità, la sensibilità e le conoscenze di Cecilia Faragò, l’ultima donna processata per stregoneria in Calabria, nel 1769, magnificamente incarnata da Emanuela Bianchi.
La recitazione, il canto, la coreografia, il più piccolo dettaglio scenografico non sono mai dei meri espedienti teatrali ma costituiscono sempre il segno tangibile della esistenza altra, viva, vera e concreta di un personaggio che si muove sulla scena autonomamente, arrivando a costituire un risarcimento morale per tutte le donne che, come Cecilia, hanno saputo vivere libere, non importa quanto gli uomini abbiano cercato di zittirle.”
Ennio Trinelli
“Una tipologia di attrice non comune, legata a ruoli, personaggi e culture del nostro sud che dovrebbero essere riprese e valorizzate, secondo una chiave di attualizzazione ‘neo-verista’ del controverso e multiforme contesto storico-sociale del Mezzogiorno d’Italia.”
Vittorio Lussana – Periodico Italiano Magazine
“Emanuela Bianchi ci lascia a bocca aperta recitando un testo straordinario, calcando la scena con le sue danze perfette per equilibrio e dosaggio delle energie, ci suggestiona con la sua bravura e la sua bellezza, ci incanta con la sua voce e le sue canzoni, ci offre momenti di perfezione estetica e drammaturgica, una interpretazione misurata e controllata con intelligenza, ci regala finalmente quello che è stato – per chi scrive -lo spettacolo più bello visto al Roma Fringe Festival 2014 e per questo, chi scrive, ringrazia Emanuela Bianchi perché con il suo lavoro ci ha confermato che questo teatro che tanto amiamo e critichiamo regala ancora gioielli meravigliosi quando meno ce l’aspettiamo.”
Ennio Trinelli – gaiaitalia.com
“La Cecilia Faragò cui Bianchi dà vita è una donna autonoma e intelligente, tutt’altro che asservita o incapace di comprendere quanto le sta capitando, tanto che la sua presenza su palco si fa mezzo di un risarcimento morale che ci rende responsabili tutti e tutte.
Una metafora luminosa e vivente della possibilità di un modo di vivere di una donna che è ora sulla scena come è stata allora nella Calabria del 1700, non importa quanto gli uomini abbiano cercato di zittirla.”
Alessandro Paesano – teatro.it
“L’attrice riesce a mostrarci , attraverso l’utilizzo di una vocalità estrema, tendente al grido, una imbastitura di piaghe. Piaghe tutt’altro che da decubito. Ma ferite frutto di giudizi prodotti da una società allora come adesso prigioniera di una teologia sbagliata. Se non addirittura fasulla! L’uso del corpo nonché la gestione dello spazio non giocano certo al risparmio emettendo conati di senso di colpa.
Lamagara. Una Medea tinta di Giovanna D’Arco, ma con un’estetica degna della Bernarda Alba in assetto da trigesima.”
Giovan Bartolo Botta – giovanbartolate.wordpress.com